Noia superficiale vs noia profonda: cosa perdiamo quando evitiamo il vuoto
Perché dovremmo smettere di scrollare e iniziare ad ascoltare
Il mondo è tante cose.
È vasto e sorprendentemente piccolo; è straordinariamente bello e profondamente frammentato. Ma più di tutto, oggi, è rumoroso; parliamo di un rumore che ci accompagna: sottile, costante, interiore…è quello prodotto dalla nostra continua attività, dalla nostra frenesia mascherata da riposo.
È il rumore del “riposo umano”; una sorta di pigrizia moderna che, sotto la superficie della connessione digitale, nasconde un’inquietudine sempre accesa.
Viviamo in un’epoca in cui la noia è diventata un tabù. La evitiamo in ogni modo possibile, perché abbiamo a portata di mano un dispositivo che promette distrazione istantanea, non appena si insinua un momento di vuoto – in fila, sul divano, persino a tavola – tiriamo fuori il telefono.
Scrolliamo, clicchiamo, reagiamo.

Nel 2014, un gruppo di ricercatori delle Università di Harvard e della Virginia condusse un esperimento illuminante: chiesero ai partecipanti di restare da soli con i propri pensieri per 15 minuti.
Niente telefoni, niente stimoli esterni.
Solo un pulsante che, se premuto, causava una scossa elettrica dolorosa: quasi la metà dei partecipanti lo premette e un uomo arrivò a farlo 190 volte. Eppure, tutti avevano precedentemente dichiarato che la scossa era così sgradevole da essere disposti a pagare pur di evitarla.
La conclusione degli autori fu inquietante: “le persone preferiscono fare piuttosto che pensare”, anche se l’unica cosa da fare è infliggersi dolore. Perché, se lasciate a sé stesse, le nostre menti tendono a vagare in luoghi scomodi e allora ci portiamo in tasca la versione moderna di quel pulsante: uno smartphone capace di neutralizzare ogni sussurro interiore. Lo usiamo per distrarci dal silenzio, per spegnere l’ansia, per non chiederci mai davvero “come sto?”. Ma questa abitudine, apparentemente innocua, ci sta impedendo qualcosa di profondo.
Perché la noia, in sé, non è negativa. Anzi, può essere una bussola, lo diceva anche il filosofo Pascal: “tutti i problemi dell’umanità derivano dall’incapacità dell’uomo di starsene seduto in silenzio in una stanza da solo.” La noia autentica – quella che sopraggiunge quando ogni distrazione è spenta – può metterci in crisi, sì, ma proprio per questo può trasformarci ed è lì che può nascere il desiderio di cambiare, di creare, di ripartire.
Un altro filosofo Martin Heidegger, nel secolo scorso, distingueva due tipi di noia: quella superficiale e quella profonda. La prima è quella che viviamo ogni giorno: essere bloccati in una situazione che non ci soddisfa e non ci lascia andare, come restare in casa in un giorno di pioggia, o partecipare a una riunione inutile. È una noia irritata, passiva, spesso accompagnata dal riflesso automatico di afferrare il telefono. Ma se resistiamo a questa reazione, se lasciamo che la noia superficiale ci attraversi senza anestetizzarla subito, possiamo accedere a un secondo livello: la noia profonda. Qui non c’è più solo fastidio, ma una forma di indifferenza verso ciò che ci circonda, una sorta di limbo esistenziale che può portare a disagio, ma anche a una potente rivalutazione della propria vita.
È proprio questo stato – tanto evitato quanto prezioso – che oggi ci manca. Perché siamo così abituati a sedare anche il minimo accenno di noia con stimoli digitali, da non arrivare mai al punto in cui essa potrebbe indicarci una strada nuova. Ci manca il tempo per pensare a lungo, in modo scomodo ma vero.

Ancora colpa del lockdown?
Molti hanno confessato di essersi sentiti in un limbo per mesi, durante i mesi del lockdown nel 2020, intrappolati tra la solitudine e il bisogno continuo di distrazione. I social, in quel periodo, sono stati sia un’ancora che un abisso. Ti ricordi? Abbiamo riempito le giornate con contenuti, interazioni, scroll interminabili – ma molti, alla fine, hanno riferito un senso di vuoto ancora più grande. Perché, in realtà, abbiamo bisogno della noia.
Come della fame, della malinconia, del silenzio.
Sono segnali interiori che ci indicano un bisogno: di cambiare, di approfondire, di riconnetterci con qualcosa di significativo.
Ma se rispondiamo sempre con una distrazione immediata, questi segnali si spengono, oppure, peggio, si trasformano in malesseri cronici: apatia, insoddisfazione, ansia.
La società moderna ci condiziona a evitare la noia
I ritmi si fanno più veloci, le attività si sovrappongono, la distinzione tra tempo privato e tempo produttivo si dissolve. Non c’è più spazio per una pausa vera, per un pensiero libero anche i momenti di silenzio sono invasi da un riflesso condizionato: prendere il telefono.
Ma forse possiamo invertire la rotta. Possiamo, ogni tanto, scegliere di restare con noi stessi e non per forza per meditare, né per ottimizzare il tempo. Solo per ascoltare. Per vedere cosa emerge nel vuoto, quando non lo copriamo subito; abbracciare la noia non significa arrendersi all’apatia ma significa attraversarla fino a trovare, oltre la frenesia, qualcosa che somiglia a un desiderio vero. Un progetto, una domanda, una nuova prospettiva: nel silenzio che tanto evitiamo, può nascere una vita più ricca, più creativa, più nostra.
Ma solo se smettiamo di premere quel pulsante.

Edward Hopper
Le immagini presenti nel post sono dell’artista Edward Hopper.