Addio agli hashtag: storia e fine di un’epoca
È davvero la fine?
Per anni, gli hashtag sono stati l’arma segreta di ogni social media manager. Bastava un # segno davanti a una parola e improvvisamente il tuo post era in grado di raggiungere centinaia, migliaia, a volte milioni di persone. Oggi, però, i tempi sono cambiati.
Si parla sempre più spesso di addio agli hashtag e di come l’algoritmo di Instagram abbia spostato il focus sulla SEO interna e sui contenuti di qualità, ma prima di salutare definitivamente questo simbolo iconico del web, facciamo un viaggio nella sua storia, per capire come siamo arrivati fin qui.

La nascita degli hashtag: dall’informatica ai social
Il simbolo “#”, che oggi associamo al concetto di hashtag, ha una storia ben più antica dei social network. Nasce infatti nel mondo dell’informatica, come segno di commento nei linguaggi di programmazione e come simbolo di numerazione; il vero colpo di genio arriva nel 2007, quando Chris Messina, un ex dipendente di Google, propone su Twitter di usare il simbolo “#” per raggruppare conversazioni. La sua idea era semplice ma rivoluzionaria: permettere agli utenti di seguire un argomento specifico, creando una sorta di canale tematico.
“Come vi sentireste a usare # per i gruppi?” – Chris Messina, 2007
Quella proposta fu accolta tiepidamente all’inizio, ma pochi mesi dopo gli utenti iniziarono ad adottarla spontaneamente. Il primo hashtag virale documentato fu #sandiegofire per coordinare aggiornamenti sugli incendi in California: quell’uso collettivo mostrò il potenziale del simbolo come strumento di crowdsourcing dell’informazione.
L’età dell’oro: gli hashtag come fenomeno culturale
Se Twitter è stata la culla, Instagram è stata la rampa di lancio. Con il boom della piattaforma tra il 2012 e il 2015, gli hashtag sono diventati uno strumento indispensabile per chiunque volesse farsi notare.
Hashtag come #ThrowbackThursday, #NoFilter, #FoodPorn sono diventati veri e propri rituali digitali. Non erano solo parole chiave: erano modi di esprimere appartenenza, di raccontare la propria vita in tempo reale. Nel 2014, ad esempio, il hashtag #IceBucketChallenge ha mobilitato milioni di persone per la raccolta fondi contro la SLA, dimostrando che un semplice simbolo poteva generare impatto sociale e culturale.
Per i brand inoltre, gli hashtag sono stati una miniera d’oro. Consentivano di lanciare campagne virali, monitorare le conversazioni e aumentare l’engagement. Campagne storiche come #ShareACoke di Coca-Cola o #LikeAGirl di Always hanno dimostrato che un semplice segno poteva rafforzare l’identità di un brand e coinvolgere intere generazioni.
Sono nati anche gli hashtag di nicchia per community specifiche. Dal fitness (#FitFam) al design (#InteriorGoals), fino ai microtrend stagionali (#PumpkinSpiceEverything), ogni contenuto poteva trovare il suo pubblico: instagram stessa raccomandava l’uso di 11-30 hashtag per massimizzare la reach.
Il declino: da strumento a rumore di fondo
Intorno al 2020, però, qualcosa ha iniziato a scricchiolare. Gli utenti hanno cominciato a percepire gli hashtag come spam, soprattutto quando i post erano infarciti di 30 tag generici e irrilevanti e da qui Instagram e le altre piattaforme hanno iniziato a dare meno peso agli hashtag e più importanza a:
- Interazioni di qualità: like, salvataggi, commenti autentici.
- Tempo di permanenza: quanto tempo un utente spende a guardare il contenuto.
- Pertinenza semantica: le parole nella caption, i tag nel contenuto, l’audio nei video.
Non bastava più aggiungere #love e #instagood per volare in alto. Nel 2023, Instagram ha ufficialmente rimosso la funzione “segui hashtag”, segnale chiaro che la piattaforma si stava muovendo verso un modello più basato sulla scoperta per interessi e SEO. Molti hashtag sono stati bannati o limitati perché associati a contenuti inappropriati; usarli senza strategia è diventato un rischio, con la possibilità di shadowban o penalizzazioni sulla reach.
Oggi, se cerchi un argomento su Instagram, ti basta digitare la parola chiave: l’algoritmo ti proporrà post pertinenti, anche se non hanno hashtag. La SEO interna, basata su parole chiave nella caption, testo alternativo delle immagini e titoli dei Reels, ha preso il posto degli hashtag come strumento principale di scoperta. Non sai come fare? Ecco la nostra guida per te.

Addio agli hashtag: la SEO come nuova bussola
Parlare di addio agli hashtag non significa che siano morti del tutto. Significa che oggi la priorità è creare contenuti di qualità, descriverli bene e usare le parole giuste.
- Scrivi caption ottimizzate: usa parole chiave che il tuo pubblico cercherebbe, soprattutto nelle prime due righe.
- Sfrutta il testo alt: su Instagram puoi aggiungere una descrizione dell’immagine, utile per l’accessibilità e per la SEO.
- Punta sulle keyword nei Reels: l’audio e i sottotitoli vengono analizzati dall’algoritmo.
- Hashtag mirati: se li usi, scegline pochi ma estremamente pertinenti (3-5 bastano).
Secondo Later, piattaforma di social media scheduling, oggi gli hashtag contano per meno del 5% della reach organica su Instagram. Hootsuite consiglia di trattarli come “etichettatura”, non come strumento di crescita: in altre parole, servono più a catalogare che a promuovere.
Uno studio di HubSpot del 2024 ha rivelato che i post senza hashtag ma con caption ottimizzate per SEO hanno performato in media il 15% meglio rispetto a quelli con 20+ hashtag generici; la crescita dei contenuti “hashtag-free” dimostra un chiaro trend verso la scoperta algoritmica.
La fine di un’era, ma non del simbolo
Gli hashtag non scompariranno: continueranno a vivere come elementi culturali, battute, strumenti di ironia. Chi non ha mai scritto un #MondayMood senza neanche sperare di raggiungere più persone? La differenza è che oggi non sono più la leva principale per crescere sui social: la vera sfida è raccontare storie, creare contenuti che le persone vogliano davvero vedere, salvare e condividere. Dire addio agli hashtag significa abbracciare un nuovo approccio: meno ossessione per i numeri, più attenzione alla qualità.
I social network stanno diventando spazi sempre più saturi e l’unico modo per emergere è costruire relazioni autentiche; gli hashtag ci hanno insegnato che il web ama le connessioni e i trend. Ora che l’algoritmo ha imparato a conoscerci meglio, il nostro compito è dare ai contenuti un’anima.
Perché il futuro del marketing non è una lista di tag: è una conversazione.

Chat GPT
Le foto sono state create tramite Chat GPT.