Cosa sta succedendo a Instagram? Com’è cambiato e come sta cambiando questo social
Instagram ha attraversato un momento difficile quest’estate, con content creator e influencer sul piede di guerra
L’abbiamo accennato il mese scorso: andiamo a vedere nel dettaglio cosa sta succedendo a Instagram.
First thing first: amiamo Instagram alla follia. Sempre e comunque, anche adesso che siamo un po’ arrabbiati con lui. Fin da quando è nato, nel lontano 2010, ha saputo catturare l’attenzione e la passione di moltissimi utenti.
Era una app di nicchia (aperta ai soli utenti iOS e programmata esclusivamente per i loro schermi, resa disponibile anche per Android solo nel 2012), dove era possibile scattare e pubblicare foto in formato 1:1, applicando a scelta dei filtri predefiniti dall’applicazione stessa. Non era possibile caricare foto esterne, non esisteva altro. Foto, like, festa finita. Cosa aveva di tanto straordinario?
La capacità di rilanciare un media che aveva superato il secolo di età, la fotografia, in un mondo tutto nuovo, prendere un’abitudine ormai un po’ stantia, come quella di mostrare le diapositive delle vacanze agli amici, e renderla cool, alla portata di tutti e di tutte le tasche. Semplice, immediato, geniale.
Instagram è il social network dell’estetica per eccellenza, della bellezza, della creatività. Non ce ne sono come lui, non ce ne vogliate: non è questione di essere migliori o peggiori, è una caratteristica che nessuno riesce ad eguagliare, nessuno. È così incentrato sulla bellezza dell’immagine da essere diventato un termine che indica una caratteristica precisa: instagrammabile è qualcosa di bello e perfetto per essere postato su Instagram, che sia un tramonto, un gatto, un abito. Del resto la materia prima di cui è composto, la fotografia, è materia viva, creativa, artistica, fin da quando è nata, e non poteva che essere altrimenti.

I peccati capitali di Instagram
Tanto amore e tanta perfezione non potrebbero esistere se non controbilanciati da altrettanti peccati capitali. Del resto, senza il male il bene che senso avrebbe? Senza l’ombra non esiste la luce…
Il primo peccato, l’original sin: nell’aprile 2012 Facebook lo acquista per circa 1 miliardo di dollari. Mark Zuckerberg, vecchia (si fa per dire) volpe al comando di Facebook, fiuta l’affare e non se lo fa sfuggire: Instagram non è più un social di nicchia, è entrato nel mainstream, e lui non vuole solo salire a bordo, vuole esserne il capotreno. Da qui inizia la corsa inarrestabile verso un successo planetario, e la rincorsa verso i competitor.
Eccolo il secondo peccato capitale: rincorrere gli altri social network importandone modalità e format. Non solo in un’occasione, ma svariate volte!
Vediamo come com’è cambiato e come sta cambiando Instagram:
Giugno 2013: introdotti video di 15 secondi, per inseguire il successo di Vine.
Agosto 2016: arrivano le Storie. Snapchat scansati, ci siamo noi adesso.
Giugno 2018: nasce IGTV, consente di caricare video verticali di 10 minuti. Youtube, it’s you?
Agosto 2020: sbarcano prepotentemente i Reel. TikTok TikTok il tempo scorre!
La corsa è finita qui? Probabilmente no, ma sono proprio i Reels ad essere la pietra dello scandalo, l’origine della ribellione più social di sempre.
Cosa è successo?
Partiamo da un presupposto da addetti ai lavori: Instagram ha tantissime funzionalità, più di quelle che abbiamo sommariamente elencato, e non tutte godono della stessa visibilità. Un dato che spesso, più spesso di quanto vorremmo, sfugge agli utenti, è che no, i contenuti che pubblichi non vengono visti da tutti i tuoi follower, mai, ringrazia il misterioso “Algoritmo di Instagram“, un mostro mitologico che molti cercano di comprendere, e che pochissimi riescono a domare (prima di esserne disarcionati). Perché oggi l’algoritmo ama le lasagne al ragù, domani sarà vegetariano, e non te lo dirà, ti masticherà e sputerà senza pietà, e tu non potrai fare altro che allargare le braccia e arrenderti al suo volere. L’algoritmo premia chi decide lui mostrando i contenuti a più persone (sia follower che non) e prevedere cosa farà non è facile. E in base a cosa decide chi premiare? Ecco, qui si apre un panorama di supposizioni, dichiarazioni, indagini. Secondo le fonti ufficiali Instagram (Adam Mosseri, il capo in persona), l’algoritmo premia ciò che gli utenti preferiscono, imparando da loro; secondo gli utenti, manco per sbaglio, ma premia solo ciò che dall’alto si gradisce più. Nello specifico, i Reels.
Ed eccoci al nocciolo della questione, il casus belli: pare che le fotografie oramai non siano più il cuore della piattaforma, tanto da ricevere pochissime visualizzazioni, e che il focus si stia spostando completamente e irreversibilmente sui video, che vengono pompati all’inverosimile, tanto che nasce l’idea che i Reels siano oramai l’unico modo di crescere su Instagram. È lo stesso Mosseri a confermarlo, in un video che ha scatenato il popolo contro di lui: il popolo vuole i video, noi gli diamo i video. Ma se l’algoritmo premia solo i video, non è che il popolo vuole solo i video perché non ha altro modo per farsi notare?
Che cortocircuito.
Una delle frasi più lette nei commenti è “Se avessi voluto una app come TikTok, sarei stato su TikTok, non su Instagram”. Non fa una piega. E nasce così l’Hashtag #makeinstagraminstagramagain, rilanciato anche da influncer e content creator da cifre da capogiro, come Kim Kardashian.
Mosseri corre ai ripari, torna sui suoi passi, dice che no, le foto le ama anche lui, non spariranno, state tranquilli…Quanto durerà?

Dove sta il problema in tutto questo?
Da una parte, l’idea che Instagram sia così tanto cambiato da non essere più riconoscibile. Ci sono tantissimi utenti che lo amano e apprezzano per le possibilità creative date dalla fotografia, non è una pura questione di essere restii alle novità, è una questione di amare un mezzo di comunicazione. Le novità ci piacciono, amiamo esplorare nuovi territori, scoprire cose nuove, è l’anima del nostro lavoro. Ma non è che, siccome abbiamo iniziato a raccontare storie per immagini, abbiamo smesso di scriverle! Le novità non devono per forza cancellare il passato o chiuderlo in un cassetto.
Dall’altra parte, non ci piace quest’inseguimento continuo, questo copiare funzionalità altrui, ci sembra una grossa mancanza di creatività e, diciamola tutta, da Instagram non ce lo aspettiamo.
Infine, una questione un po’ più tecnica che forse è passata un po’ in sordina: creare foto non è la stessa cosa che creare video. Banale forse, ma tant’è, e non è cosa da poco! Sia dal punto di vista del tempo, che delle risorse, sia tecniche che economiche, i video sono più dispendiosi e meno adattabili. Non è un caso, infatti, che i content creator riciclino gli stessi video creati su TikTok per Instagram, spesso lasciando persino il logo della piattaforma: chi glielo lo fa fare di creare due video diversi che hanno la stessa identica finalità e modalità di fruizione? Non avrebbe alcuna praticità! E così si corre a tutta velocità verso un destino poco felice: una piattaforma, Instagram, che condivide tutti i video col logo del competitor, TikTok. Perché è questo il rischio che si corre, se si insiste a proseguire su quella strada, oltre alla possibile perdita di una buona fetta di utenti, che potrebbero decidere di riversarsi magari su qualche nuova piattaforma, pronta a coprire la nicchia di mercato lasciata scoperta. Non ci sembra un’ipotesi così campata per aria, vista la mole di lamentele e proteste estive.
Per concludere, ameremo di meno Instagram? Per il momento no, resta stabile nei nostri cuori, non siamo pronti a voltargli le spalle e speriamo sempre che il futuro porti Mosseri & co a più miti consigli (e magari più novità vere). Ecco, qui sta il cuore della questione: non sappiamo cosa Instagram ci riserverà per il futuro.
Siamo sempre pronti e fiduciosi, nella speranza di non veder deluse le nostre aspettative…E saremo pronti ad adattarci di conseguenza. Che è un po’ uno dei segreti del nostro lavoro.


Aad Goudappel
Aad Goudappel vive e lavora a Rotterdam come illustratore freelance. Traduce idee complesse e temi astratti in immagini chiare e potenti che sembrano semplici a prima vista, ma che di solito contengono più livelli. Il suo stile riconoscibile è contemporaneo ma anche senza tempo.