The Last of us e il successo delle tecniche dello storytelling
Dal videogioco alla serie, come l’arte della narrazione è importante
Con i progressi dell’era moderna, siamo in grado di creare videogiochi con sceneggiature pari al grande schermo; questo non vuol dire che tutti i videogiochi debbano essere basati su una trama – ciao Pac Man o Puzzle Bobble- ma che se uno di questi si basa sulla narrazione, allora quest’ultima deve essere una gran storia per funzionare.
Ambientato in un mondo post-apocalittico The Last of Us nasce prima come videogioco e di recente è stato riadattato in una serie della HBO, diventando il secondo spettacolo più visto del canale in più di un decennio, qualcosa che Neil Druckmann, creatore, sceneggiatore e produttore esecutivo, sia della serie che del gioco, trova ancora difficile da credere: “Sto aspettando che un pianoforte mi cada addosso o qualcosa del genere perché sembra troppo bello per essere vero“, ha detto recentemente.
In che modo sia il videogioco che la serie utilizzano la narrazione a proprio vantaggio?
La trama, per chi non la conosce, ha come protagonista Joel, un sopravvissuto all’apocalisse dal passato burrascoso, ed Ellie, una giovane ragazza: i due affrontano i pericoli di un mondo devastato da un’epidemia di funghi, che ha trasformato la maggior parte della popolazione in creature simili a zombi.
Beh, gli elementi di narrazione per tenere viva l’attenzione ci sono e le migliori tecniche di storytelling anche, ma uno su tutti probabilmente è quello che fa la differenza e che si traduce perfettamente dal gioco allo spettacolo.
Il Monomito o la nascita dell’eroe
Nell’opera del 1949 L’eroe dai mille volti, Joseph Campbell delinea la sua tesi su cui si basano molte storie mitologiche: il monomito, “il viaggio dell’eroe”. Il monomito di Campbell è una struttura in tre atti con dodici parti in totale e il concetto è questo: l’eroe viaggia dal mondo conosciuto al mondo sconosciuto e ritorna con il proprio bottino.
Le 12 tappe del viaggio dell’eroe
- L’eroe vive nel suo mondo ordinario
- L’eroe riceve una chiamata
- Inizialmente non accetta e rifiuta la chiamata
- Seguendo un mentore vince la sua paura
- L’eroe varca la prima soglia: accede al mondo straordinario
- Inizia una serie di prove, trovando alleati e nemici
- Si avvicina e prepara alla prova centrale
- Scende nella caverna, affrontando la prova centrale, il drago. Rischia di morire o muore
- L’eroe ottiene il premio
- Intraprende la via del ritorno, piena di ostacoli e tentazioni
- L’eroe affronta la resurrezione, consapevole che una parte di sé è morta
- Torna a casa con un nuovo bottino
Per non fare troppi spoiler, per chi non ha mai giocato al videogioco e sta attualmente seguendo la serie, arriviamo fino al 6° punto.
- Il mondo ordinario
The Last of Us inizia con una finestra sul passato, uno sguardo tragico sugli eventi accaduti che hanno portato allo stato del mondo durante il videogioco, nonché uno sguardo alla storia passata del nostro eroe. Ora abbiamo un’introduzione su Joel; questo primo passo del monomito serve a mostrare al pubblico il punto di partenza per il viaggio da percorrere. Il passo successivo la chiamata, quando all’eroe viene presentata una ricerca, nel caso di Joel, Ellie. Finora, si segue il monomito alla perfezione, includendo anche il “Rifiuto”, dell’eroe che nega la ricerca che gli è stata presentata.
Il quarto passaggio, “Incontro con il mentore”, è simile all’incontro con Luke con Yoda; l’eroe cerca l’aiuto di qualcuno più anziano e più saggio per addestrarlo o dare consigli prima di partire. Tuttavia, nel caso di Joel, il suo mentore è Tess e la sua morte annuncia anche il “varcare la soglia”, dove l’eroe passa dal mondo conosciuto all’ignoto. I personaggi si rendono conto che il loro viaggio non sarà così semplice come avevano previsto e si mettono alla ricerca di qualcuno che possa aiutarli.
- L’ignoto
Mentre il nostro eroe viaggia verso l’ignoto, deve affrontare alleati e nemici oltre che infetti e l’apocalisse. Ellie e Joel vengono attaccati dai banditi, cercano degli alleati (Henry e Sam), perdono i loro alleati (RIP), ne trovano nuovi (Tommy e compagni), abbandonano i loro nuovi alleati, vengono attaccati di nuovo dai banditi e…qui ci fermiamo per non spoilerare troppo, ma è chiaro che cosa ci attende seguendo piano piano tutti i 12 punti sopra riportati.
Uno studio sull’impotenza nello storytelling
Last of Us somiglia spesso a un videogioco che non vuole esserlo; ecco spesso, chi ci ha giocato, dice questo. E la tensione, che l’adattamento televisivo si sforza di alleviare, è precisamente ciò che ha reso il gioco originale uno studio avvincente sull’impotenza. Nei primi filmati del videogioco, Joel si oppone con veemenza a diventare il custode di Ellie con un mai superato dolore paterno mascherato da pragmatismo; quando il gioco riprende, i giocatori potrebbero sentire che stanno spingendo Joel in avanti contro la sua volontà, ignorando la sua riluttanza con il proprio desiderio di progredire nel gioco. Anche se Joel si ammorbidisce davanti alla sua giovane amica, The Last of Us offre ai giocatori poche opportunità per rendere il loro Joel più forte o più veloce: un leggero aumento della sua barra della salute, forse, o una nuova pistola i cui proiettili sono più rari del solito.
La stessa architettura ludica, che all’inizio fa fare ai giocatori cose che Joel non vuole fare, arriva lentamente a far riflettere sulla capacità spaventosamente limitata di Joel di proteggere Ellie.
Nella serie, le tecniche dello storytelling portano Joel ad essere profondamente consapevole della propria mortalità: le sue ginocchia malandate, la sua perdita dell’udito, gli attacchi di panico.
Ma nel videogioco, Joel muore tante volte (tante) e ogni volta, il gioco riprende il controllo della telecamera, costringendo i giocatori a guardare mentre viene colpito, pugnalato, bruciato vivo, massacrato di botte; mentre gli infetti gli strappano gli occhi, gli spezzano la mascella…Questi filmati, animati con un raccapricciante realismo, spesso hanno la qualità di jump scare, che arrivano proprio mentre il giocatore pensa di essere al sicuro. Come nella maggior parte dei giochi, le morti di Joel vengono deviate in un metaverso; il giocatore riprende il controllo di Joel all’ultimo checkpoint che non ha memoria di ciò che gli è appena successo; ma il giocatore sì, e questo senso viscerale della morte di Joel arriva a definire la sua relazione sia con Joel che con il gioco nel suo insieme.
I giocatori quindi sperimentano due Joel: il Joel presentato nella storia, un personaggio potente spinto a vette eroiche dal dolore e dall’amore, e la versione di Joel controllata dal giocatore, un uomo terrorizzato con scarsa mira, poca resistenza e un tasso di mortalità pericolosamente alto.
Druckmann ha affermato che il gioco è stato progettato per offrire ai giocatori la stessa relazione protettiva che Joel sviluppa con Ellie: anche quest’ultima può morire in modi altrettanti orribili se il giocatore commette un errore. “Ecco perché uomini come te e me sono qui“, dice un altro sopravvissuto a Joel nella serie, esortandolo a dare un senso alla sua vita trovando qualcuno da tenere al sicuro. Per Joel, questa persona è Ellie.
In effetti, The Last of Us e il suo storytelling suggeriscono che prendersi cura, per definizione, significa scegliere di non avere scelta, aggrapparsi a un’altra persona così strettamente che la sua sopravvivenza diventa una necessità, ed è questo che rende incredibilmente toccante e partecipativo sia il videogame che la serie.
Conclusioni
Il punto non è che un videogioco o una serie tv, come altre forme d’arte, possono trattare anche temi alti e mostrarci qualcosa sull’amore, ma che l’amore, nella sua forma più mostruosa, può avere la struttura inflessibile di un videogioco.
AA.VV.
Le immagini che abbiamo utilizzato sono di Brandon Meier, Alexander Iaccarino, Pablo Yllera e Lily Nishita.